Un mare di plastica minaccia il pianeta. Intervista al nostro ambassador Alex Bellini
Alex Bellini, classe 1978, è nato in un paese delle Alpi ma è stato il mare ad avere un ruolo fondamentale nel suo percorso di ricerca dei propri limiti. Questa ricerca lo ha spinto a diventare un avventuriero ed esploratore nel corso di 17 anni di grandi sfide. Avventure intraprese non per il fascino del traguardo o della performance sportiva, ma per l’esigenza vitale di conoscere se stesso e le proprie risorse.
La prima di queste sfide avviene nel 2001, la Marathon des Sables: una maratona di 250 chilometri nel deserto del Sahara.L’anno successivo Bellini prende parte all’Alaska Ultrasport, una corsa in cui trascina la sua slitta in totale autosufficienza per 2000 chilometri. La sabbia, il ghiaccio e infine il mare appunto. Nel 2005 attraversa il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico remando in solitaria per sette mesi e mezzo. In quell’anno rema da Quarto a Fortaleza (Brasile) percorrendo diecimila km in 226 giorni, sopravvivendo anche a un naufragio. Ogni avventura permette ad Alex di ridefinire il concetto stesso di "possibile", continuando a metterlo in discussione. Degna di nota anche la traversata del più grande ghiacciaio europeo, il Vatnajokull, in Islanda o l’Ultra Maratona Los Angeles – New York.

Proprio oggi esce il suo ultimo libro “Il viaggio più bello – I 6 nodi da sciogliere per vincere la paura della trasformazione” edito da Chiarelettere. Il viaggio in questione non è in questo caso quello avventuroso, ma le esperienze affrontate quotidianamente, le sfide a cui “sopravviviamo” che possono renderci persone migliori.
Da un paio di anni l’attenzione di Alex si è concentrata sul disastro ambientale causato delle plastiche negli oceani. Da qui il progetto di ripercorrere su una zattera autocostruita con materiali riciclati il percorso che fa la plastica, dai 10 fiumi più inquinati al mondo fino all’Oceano Pacifico, per congiungersi alla grande isola di plastica tra la California e le Hawaii. Nota come Great Plastic Garbage Patch ed estesa tre volte la Francia, il 90% di quella plastica che la compone vi affluisce proprio da quei 10 fiumi. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio il suo pensiero su questa crisi di enorme proporzione.

Hai intrapreso due traversate oceaniche in solitaria ma l’attenzione sull’inquinamento da plastica nel mare è arrivata dopo queste avventure, quanto è nata precisamente?
Posso dire che è stata una evoluzione della mia attività di esploratore. Se inizialmente il mio interesse era il viaggio per conoscere meglio se stessi, nel corso del tempo mi sono reso conto che c’era una ragione più grande per esplorare e da comunicare: come il Pianeta sta cambiando per mano dell’uomo. Negli ultimi 24 mesi, io e mia moglie Francesca - con cui condivido la progettazione e il racconto delle esplorazioni di luoghi lontani ma interconnessi - ci siamo chiesti cosa potevamo fare e così è nata l’idea di navigare i 10 fiumi più inquinati da plastica al mondo. Lo scopo è quello di narrare la storia del viaggio compiuto dalla plastica che dai fiumi finisce in mare.
A che punto è il progetto della navigazione dei 10 fiumi?
Dopo il Gange in India e il Fiume delle Perle in Cina, in questo momento, a causa della pandemia da Covid-19 e con le difficoltà sorte per di viaggiare, siamo in stand by. Tuttavia il progetto non sta solo nella navigazione, va avanti nella sua parte di divulgazione con i nostri partner e le attività social che si possono fare per sensibilizzare al problema. Diciamo che la parte legata al viaggio è sospesa ma, dato che la nostra finalità è accrescere lo spirito ecologico nelle persone, andiamo avanti con la comunicazione.
Guardando il trailer di presentazione del progetto si capisce che il focus principale non è “la plastica negli oceani”, come solitamente viene narrato sui media. La questione è a monte, il Great Plastic Garbage Patch è la somma di tanti piccoli disastri ambientali.
Esattamente. Per molto tempo l’attenzione dell’ambientalista “medio” era focalizzata sulla tutela di un ecosistema, di un luogo, di un tratto di mare… Ma la plastica viaggia per migliaia di km, attraversa i fiumi e pure le nostre vite. Non c’è giorno in cui noi non ci serviamo di questo materiale. Importante, dai mille usi, però anche estremamente dannoso. Quindi l’inquinamento da plastica nell’Oceano come conseguenza di comportamenti che si intrecciano con questioni sociali, culturali, disparità economiche e incapacità dell’uomo di comprendere la complessità di ogni sua singola azione.

Un’ultima domanda sul cambiamento climatico. Mi pare di capire che la tua missione di sensibilizzazione è portare gli occhi del pubblico lì dove sono i tuoi e far capire il disastro che stiamo creando.
L’uomo può comprendere gli effetti più negativi della sua attività solo nel momento in cui si avvicina alle conseguenze, quando può vederle. Nei paesi occidentali abbiamo ancora la fortuna di essere lontani dagli effetti più eclatanti del cambiamento climatico. Voglio dire, nessuno da noi sta soffrendo per l’acidificazione degli oceani, l’aumento del livello dei mari o la deforestazione… Però anche in Italia questi effetti si stanno facendo sempre più negativi, pensiamo ai periodi sempre più lunghi di siccità e poi le alluvioni, o caldo anomalo e poi grandinate gigantesche come sta diventando consuetudine ogni estate. Come dicevo prima, anche i luoghi remoti sono interconnessi e il cambiamento climatico ci coinvolge tutti, non abbiamo un “Planet B”!
#10Rivers1Ocean; #weareallinthesameboat
Intervista a cura di Francesco Sani
Foto per gentile concessione The 5th Element Ltd